Mozione equo compenso: osservazioni - Federazione Nazionale Architetti Ingegneri Liberi Professionisti FNAILP

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Mozione equo compenso: osservazioni

Proposte
All’Onorevole Giorgia Meloni
Leader di Fratelli d'Italia
                                        
 
Nell’esprimerLe la riconoscenza ed il sostegno di noi professionisti per aver intrapreso iniziative in favore della categoria, ormai abbandonata e vessata dalla politica e dalle istituzioni da moltissimi anni,
non possiamo però non farLe notare che nella MOZIONE di Fratelli d‘Italia, concernente “INIZIATIVE A SOSTEGNO DELLE LIBERE PROFESSIONI E DELLE IMPRESE”, seduta n. 242 di Lunedì 21 ottobre 2019,
al punto 1[1] si apprende, ahimè, che l’equo compenso minimo verrebbe applicato esclusivamente alla cosiddetta committenza forte, così come già previsto MOLTO ERRONEAMENTE con il Decreto-Legge 16 ottobre 2017, n. 148 (convertito dalla legge 4 dicembre 2017, n. 172).
Non è ben chiaro il motivo per cui il novellato punto 1 della mozione, che potrebbe essere il più importante, il più utile ed il più apprezzato, abbia in realtà una grande limitazione e fosse indirizzato esclusivamente alle pubbliche amministrazioni, alle grandi imprese, alle banche e alle assicurazioni,
mentre la stragrande maggioranza dei professionisti invece, non agevolata dal privilegio o della fortuna di avere questo tipo di committenza, lavori quasi esclusivamente per committenza privata;
non sono chiare, quindi, le ragioni per cui quasi tutti i professionisti verrebbero esclusi dalla giusta applicazione del criterio di eticità e proporzionalità tra lavoro e retribuzione proposto, cioè verrebbero esclusi paradossalmente proprio quelli che ne avevano urgente ed improrogabile necessità.
Tale considerevole limitazione è attualmente motivo di energica e ferma critica, manifestamente evidente nella totalità dei commenti dei numerosissimi professionisti che intervengono nei gruppi e nelle pagine social.
L’opinione comune infatti, è che la mozione, sul punto, ove persista detta illogica esclusione, in realtà non solo non sortirebbe alcun apprezzabile effetto, ma che apporti un beneficio a pochi o pochissimi abbandonando e lasciando, ingiustamente, la massa nella incertezza delle sciagurate liberalizzazioni, generando una disparità di trattamento immotivata.
Tutto ciò verrebbe a vanificare TOTALMENTE i buoni e nobili proposti: i professionisti eventualmente beneficiari del provvedimento sarebbero quelli già avvantaggiati ad avere la ventura di lavorare costantemente per committenza cd forte[2], mentre tutti gli altri, i meno baciati dalla sorte, continuerebbero ad essere sfruttati dalla committenza privata, per via di una concorrenza estrema imposta dalle cd “lensuolate” di Bersani di cui l’art. 2 della Legge 4 agosto 2006 n. 248 convertito con Legge 4 agosto 2006, n. 248 e dalla “legge Monti” (legge 24 marzo 2012, n. 27).
 
È utile ricordare che le liberalizzazioni delle tariffe professionali hanno generato una concorrenza oltre ogni limite di ragionevolezza e di prudenza; hanno instaurato una competizione esasperata e malata, basata essenzialmente sulle mere leggi di “mercato” (legge immorale del più forte) che ammettono ed incoraggiano lo sfruttamento estremo dei lavoratori; oltrepassando qualunque criterio etico e morale.
Le prestazioni rese in regime di liberalizzazione delle tariffe minime assumono alta probabilità che siano errate, od insufficienti ed inidonee ad assicurare il rispetto della complessa normativa di settore, diventando dunque dannose e pericolose per la committenza e ancor di più per la collettività, contenendo in seno potenziali rischi non solo per i clienti ma per l’intera sfera sociale.
È ancora da affermare con evidenza, che la mancanza delle tariffe minime stabilite per legge o equo compenso minimo inderogabile, può indurre una incontrollabile evasione fiscale: i professionisti potendo applicare qualunque prezzo, e disapplicare la tariffa minima, possono fatturare somme inferiori rispetto a quelle realmente intascate, con l’aggravante che nessun controllo fiscale, in mancanza di riferimenti certi, possa contestare loro alcuna irregolarità.
Dalle considerazioni anzi espresse emerge quindi inconfutabile, che il ripristino delle tariffe minime vincolanti è ampiamente giustificato da imperativi motivi di interesse generale.

Tutto ciò premesso
le chiediamo di intervenire con urgenza affinché:
a)    gli effetti dell’equo compenso minimo siano estesi a tutta la committenza, soprattutto privata.
Si chiede contestualmente la soppressione di tutte le norme che prevedono l’abolizione dei minimi tariffari in quanto in palese contrasto con la Costituzione Italiana che, all’art. 36 recita in modo chiaro e inequivoco: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa».
b) nella norma dell’equo compenso minimo sia prevista la garanzia del reale incasso del compenso professionale, mediante clausole che impongano la nullità giuridica delle prestazioni non compensate attraverso l’applicazione dell’equo compenso minimo e dichiarazione di avvenuto pagamento del professionista senza la quale qualunque Ente dichiara irricevibile qualunque istanza;
c) si possa abolire l’iva sulle prestazioni delle professioni di architetto ed ingegnere a prescindere dal regime fiscale adottato, poiché si tratta di attività intellettuali e non commerciali;
d) si possa conferire ai liberi professionisti laureati, abilitati ed iscritti agli Ordini degli architetti ed ingegneri, lo status di Pubblico Ufficiale nello svolgimento dell’esercizio delle loro funzioni all’interno di una professione di Stato.
La richiesta appare giustificata dalla considerazione che si tratta di soggetti le cui prestazioni sono di interesse pubblico pertanto è necessario assicurare ad essi l’autorevolezza, l’efficacia l’influenza indispensabile a tutelare e difendere la cosa pubblica e l’incolumità dei cittadini.
e) si possa deresponsabilizzare la figura del professionista tecnico ritornando alla definizione che nasce dai combinati disposti del c.c.: “il professionista intellettuale e responsabile di mezzi non di risultati”, principio troppe volte stravolto dalla libera discrezionalità dei giudici.
La proposta che appare corretta è : “con esclusione di una “grave negligenza”, o “colpa grave” nessuna responsabilità può essere contestata o messa a carico del professionista, progettista, direttore dei lavori, coordinatore della sicurezza, redattore di qualunque prestazione e per qualunque ruolo assuma, qualora, nonostante la messa in campo di mezzi, ovvero di formazione e conoscenza, nonché della normale perizia e diligenza, il risultato della prestazione non sia conforme, in tutto o in parte alle aspettative del committente.”
f) si abolisca l’Obbligo dei corsi di formazione per i professionisti, lasciandoli facoltativi per chi abbia compiuto almeno 15 anni di iscrizione all’Ordine, poiché è grottesco che il professionista, semplicemente per poter continuare a svolgere la sua professione, per la quale la nostra Costituzione prevede esclusivamente l’acquisizione di laurea, di abilitazione e di iscrizione all’Odine, debba rincorrere improbabili corsi a punti, spendendo soldi e sottraendo giorni di lavoro o di tempo da dedicare al vero approfondimento;
g) si incoraggino gli architetti e gli ingegneri nell’espletamento della professione di “amministratore di condominio”.
Oggi il ruolo dell’amministratore di condomino non è più quello di un tempo che veniva svolto dal condomino pensionato che magari nella vita aveva svolto tutt’altro mestiere; oggi tante norme son cambiate e la professione è diventata altamente complessa e specialistica.
L’amministratore avendo a che fare costantemente con problemi inerenti l’edilizia, è necessario debba conoscere massimamente le leggi e le norme che regolano la materia, ciò per evitare impostanti danni dovuti alla “mala gestio” del condominio.
Le uniche figure professionali cui la legge attribuisce l’esclusività di dette competenze sono essenzialmente gli architetti e gli ingegneri civili/edili.
Riteniamo quindi che per l’accesso e mantenimento al ruolo di amministratore di condomino basti la laurea in architettura o ingegneria edile /civile, nonché la regolare iscrizione all’Ordine; pertanto si chiede che per gli architetti e gli ingegneri non sia più previsto alcun obbligo e vincolo di formazione, né l’obbligo dei corsi annuali con esami, procedura che deve restare obbligatoria, invece, per i semplici diplomati e per i laureati non iscritti all’Ordine.
Riteniamo altresì che debba essere soppressa la norma che stabilisce che per fare l’amministratore basti un semplice diploma; di conseguenza è necessario normare che i nuovi amministratori debbano possedere obbligatoriamente una laurea ed una iscrizione ad un Ordine professionale.
h) Si introducano tariffe minime professionali anche per gli amministratori di condominio.
Oggi il libero mercato ha indotto gli amministratori a competere con tariffe sempre più base, tanto basse che gli stessi amministratori per poter introitare uno stipendio minimo, sono costretti, loro malgrado, a gestire molti condomini, ad assumere quindi più incarichi di quanti ne possano umanamente gestire, con l’ovvia circostanza che le gestioni condominiali sono quasi sempre carenti e deficitarie. Questa circostanza favorisce l’instaurarsi di contenziosi, di gravi disagi per i condomini e di comportamenti illeciti degli stessi amministratori, che per poter restare in gioco, nell’ambito di una concorrenza spietata, possono essere indotti ad adottare comportamenti illegali al fine di aumentare i miseri introiti.
 
*** *** ***
Il Suo intervento è fondamentale per la tutela degli interessi e della incolumità pubblica e privata, per la tutela dei diritti costituzionali dei cittadini liberi professionisti, per ristabilire almeno una sparuta misura di meritocrazia e per la lotta all’evasione fiscale.


[1] “…ad intraprendere ogni opportuna iniziativa di carattere normativo atta a garantire la diffusa applicazione del principio dell'equo compenso per le prestazioni svolte da professionisti a favore delle pubbliche amministrazioni, grandi imprese, banche e assicurazioni,..
[2] Qui si apre un capitolo importante che è quello della nebulosità dell’affidamento degli incarichi fiduciari, che oggi vengono gestiti in maniera da favorire l’uso personale del potere pubblico, creando nicchie o lobby di potere che tendono a formare un ambiente chiuso in cui riescono ad emergere esclusivamente gli amici degli amici. Gli incarichi di natura fiduciaria dovrebbero essere affidati esclusivamente su base rotativa pura per liste o albi di specializzazioni.
 
 
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